Sei davvero un social-dipendente?

 La dipendenza fisiologica da Facebook e Instagram esiste davvero?
Quand’è che il tempo trascorso online è davvero troppo?
Alcune persone si definiscono social media dipendenti, in modo semiserio ma, cosa significa davvero avere una dipendenza da social media? Esiste una diagnosi per questa condizione, e come capire se abbiamo raggiunto quella linea di confine?
Prima che un comportamento possa dirsi patologico, servono molti anni di ricerca e precisi criteri di definizione. Ma gli studi sulla dipendenza da social sono giovani quanto il tema che studiano, e né l’Organizzazione Mondiale della Sanità né l’American Psychiatric Association (due istituzioni che definiscono le dipendenze) prevedono ancora l’esistenza di questo disturbo.
Per Mark Griffiths, psicologo della Nottingham Trent University, nonché tra i primi a far ricerca sul tema, i social media possono dare dipendenza, e chi ci cade, manifesta gli stessi sintomi comportamentali associati ad alcune dipendenze chimiche, come quella da alcol o da nicotina: cambi d’umore, isolamento sociale, conflitto e ricadute.

 Anche stabilire un limite di ore online trascorse le quali, “siamo patologici” è, per Griffiths, un po’ fuorviante: a parità di tempo speso sui social, quell’attività può risultare più o meno totalizzante e dannosa per la vita offline.

La maggior parte degli utenti attivi sul web trascorre infatti sui social media più di due ore al giorno, eppure gran parte della popolazione non ha un problema di dipendenza da social. Non è dunque solo il fattore tempo a determinare se queste piattaforme stanno provocando malessere psicologico. Ma che cos’è, allora?

Griffiths ha trovato che gli estroversi usano i social network per il proprio miglioramento sociale, gli introversi come forma di compensazione. Poiché alimentano il circuito cerebrale della ricompensa, possono essere usati come forma di consolazione per stati di umore altalenanti, e arrivare così a causare dipendenza psicologica.

Sarebbe dunque il contesto in cui sono utilizzati e non tanto il tempo che vi passiamo, a determinarne la pericolosità.

L’origine di questa necessità compulsiva di postare e leggere le bacheche altrui non è chiara: potrebbe derivare dalla paura di rimanere tagliati fuori o essere legata alla dipendenza da smartphone. Ma i dati sono ancora troppo pochi e sbilanciati su Facebook, nonostante recenti ricerche indichino in Instagram il social più pericoloso per la salute mentale, soprattutto degli adolescenti.

In attesa che gli esperti si pronuncino sull’esistenza o meno della dipendenza da social, la scienza si divide sulle conseguenze del tempo trascorso in queste comunità virtuali. Alcune ricerche hanno stabilito che i giovani che trascorrono sui social più di due ore al giorno, sono più a rischio di disturbi mentali.

Ma non tutte le ricerche dipingono un ritratto a tinte fosche dei social.

Secondo Andrew Przybylski dell’Università di Oxford, l’uso dei social ‘fino a un certo punto sembra far naturalmente parte della giovinezza, e non diventa distruttivo fino a che non si inizia a trascorrervi cinque, sei, sette ore’.

Come segnalare agli utenti che il tempo sui social, e quindi, forse, anche il contesto, sta diventando troppo?

Una possibilità allo studio è quella di inviare un messaggio sullo schermo di smartphone o pc che confronti il loro comportamento con quello dell’utente medio, senza contenere però un giudizio negativo sulla persona. Per esempio un adolescente che alle 3 di mattina dovesse essere su Instagram, potrebbe vedersi notificare che a quell’ora, solo il 3% dei coetanei è online. Con chi ha dipendenza da gioco d’azzardo, questo tipo di segnalazioni ha dato finora buoni risultati.

Voi cosa ne pensate? Potrebbe essere una potenziale soluzione?

 

 

 

 

 

 

 

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